ADAM BUDAK
ADAM BUDAK Il tuo nome è associato al movimento dell’Architettura Radicale, tuttavia ti sei spesso dimostrato critico al riguardo e hai dichiarato che la tua pratica differisce da quella dei protagonisti del movimento. In cosa consiste per te questa differenza essenziale?
GIANNI PETTENA La differenza è tra il raccontare, attraverso la costruzione di spazi, un percorso di ricerca e di amore verso la disciplina, costruendo, se necessario, anche in modo temporaneo. È tra il definire un linguaggio che si evolve in sequenze di episodi (perché sono atti di una ricerca continua, che non finirà mai) e il ridurre il tutto a una strategia professionale o accademica: una professione di architetto, di designer, eccetera eccetera… una prigione!
AB Nel 1973-74 hai scritto un saggio che si è dimostrato di fondamentale importanza: “The Urban Structure. Legal and Illegal Use. Self-therapy”. Quali erano, a quel tempo, gli obiettivi del tuo pensiero? Pensi che questo testo sia ancora attuale?
GP Era fare braccio di ferro tra legale e illegale, tra la burocrazia delle norme e limitazioni al costruire, e il divenire dei linguaggi. Allora si cercava spazio per la libertà di sperimentazione, producendo architettura anche temporanea, con forti elementi di provocazione, contro un establishment che si è impadronito di ogni regola della «costruzione». Anche oggi fisicizzare il dissenso è fondamentale, non ci si dovrebbe limitare alle dimostrazioni di dissenso solo “autorizzate” da chi amministra il potere.
AB La tua pratica rivoluzionaria di architetto e di artista ti ha sempre collocato al crocevia tra l’outsider e il profeta. I tuoi lavori Grass Architecture (1971) e Tumbleweeds Catcher (1973) hanno anticipato l’interesse per la natura e le tematiche ecologiche. Puoi parlarci brevemente della tua ricerca verso un’arte sostenibile e sensibile all’ambiente?
GP Chi ha avuto idee negli anni Sessanta e Settanta si limitava a descriverle e annotarle… Oggi ritroviamo citazioni di Grass architecture nei primi lavori di SITE, in alcuni lavori di Future Systems e Foreign Office. Tumbleweeds Catcher è la mamma del Bosco Verticale di Stefano Boeri. Tutto ciò è trasparente, così come il Parc De la Villette di Tschumi cita la Non Stop City di Archizoom e i disegni di Delirious New York di Rem Koolhaas sono citazioni degli Istogrammi di Architettura del Superstudio… È un complimento essere citati spesso anche qualche decennio dopo ma la citazione delle fonti, per gli architetti, non è mai stata un’abitudine…
AB Il tuo libro L’anarchitetto, pubblicato nel 1973, appare altrettanto anticipatorio, per esempio se guardiamo alla pratica di Gordon Matta-Clark. Tu hai trascorso la maggior parte degli anni Settanta negli Stati Uniti: quanto è stato importante quel periodo per la formazione del tuo pensiero creativo?
GP Sì, certamente i miei soggiorni e viaggi negli USA all’inizio degli anni Settanta furono importanti per comprendere che la Natura agisce in una scala e intensità che l’architettura non raggiungerà mai. Rivisitare l’architettura con gli strumenti della Natura rimane una grande lezione... Una architettura che si occupa di raccontare anche l’evolversi di una cultura verso un “enviromental and conceptual concern” è l’unica evoluzione di cui la storia si ricorderà.
Non-Conscious Architecture, Gianni Pettena, Sternberg Press 2018
Via Dei Ferruzzi,12
50014 Fiesole (Firenze)
ITALIA