GILLO DORFLES
GILLO DORFLES

GILLO DORFLES

 

 

Molto spesso l’architettura dei nostri giorni parte dalla fine invece che dal principio. In altre parole, l’architetto pensa all’edificio già costruito, e la costruzione avviene senza che l’idea e lo spunto che diventerà poi l’abbozzo del progetto definitivo venga preso in considerazione. In questo modo, viene a mancare proprio quella parte del fare architettonico che vive al di là della costruzione, nel mondo che possiamo chiamare ‘delle idee’. Ora, io credo che sia nel passato che ai nostri giorni prima di tutto l’architettura debba prendere in considerazione quelle coordinate spaziali e spazio-temporali, materiche e dimensionali che formano il nocciolo di un edificio e che, se questo non avviene, la costruzione finisce per essere semplicemente una ‘machine à habiter’, oppure un coacervo di acciaio, vetro e altri materiali costruttivi.

Nel caso di Gianni Pettena avviene di frequente che le sue architetture – perché così possiamo chiamarle – siano prima di tutto messa a punto di una idea costruttiva, idea che può anche non essere realizzata, se non idealmente o ideologicamente, ma che è sempre alla base di quello che è il suo concetto del progettare. Così molte delle sue costruzioni, come la casa di ghiaccio, la casa di creta o la torre di tumbleweeds, hanno una loro vitalità e una loro sopravvivenza anche al di là del fatto che il momento esecutivo sia andato perduto.

Un esempio, secondo me molto significativo, anche perché dimostra che queste osservazioni valgono non solo per l’attualità ma anche per il passato, è quello dell’intervento di Pettena sul palazzo di Arnolfo a San Giovanni Valdarno, in cui l’euritmia e la straordinaria linearità e simmetria tipiche dell’architettura rinascimentale, vengono in un certo senso trasformate da losanghe inclinate che si sovrappongono ai vuoti dei loggiati e dei portici così da fornire, attraverso l’inserimento di un linguaggio contemporaneo, una percezione diversa eppure ancora integrata al linguaggio del passato. Con questa operazione si viene ad ottenere un fenomeno molto interessante soprattutto dal punto di vista percettivo, perché dopo che l’edificio è stato osservato con la mascheratura delle bande inclinate e viene poi rivisto una volta ricondotto alla sua primitiva condizione, ci si rende immediatamente conto dell’esistenza di una specifica qualità percettiva che andava perduta senza la ‘sovrapposizione’ di cui abbiamo parlato: una dimostrazione tra le tante di come molto spesso grandi edifici del passato non siano perfettamente riconosciuti nelle loro diverse coordinate proprio per la insufficienza del nostro atteggiamento percettivo.

Inoltre, un edificio come il ‘Tumbleweeds catcher’ costruito da Pettena a Salt Lake City nel 1972, ricoperto da vegetali in modo da mascherare quasi completamente le strutture sottostanti (come anche per la scuola inglobata nel ghiaccio o la casa ricoperta di creta, la Clay House realizzata sempre nel ’72 a Salt Lake City), sta a dimostrare come alle volte la mascheratura che ad esso si sovrappone permetta in un secondo tempo di considerarlo come ‘rinnovato’ per la caduta di queste schermature. Allo stesso modo di un serpente che si rinnova quando depone la pelle, così questi edifici acquistano la loro primitiva vitalità proprio per il fatto di aver abbandonato le ‘spoglie’ di un elemento sovrapposto.

Le ‘Grass Architectures’ poi, opera presentata da Pettena già nel 1971 al Trigon di Graz, potrebbero essere messe a confronto (o in opposizione) con certe operazioni fatte in anni successivi da Emilio Ambasz, quelle in cui egli ‘maschera’ alcune sue costruzioni tradizionali coprendole con un prato: nei disegni di Pettena si ha invece la creazione di una spazialità ottenuta con il sollevamento di una coltre erbosa, una progettazione che naturalmente viene a costituire una spazialità vacua, del tutto virtuale, ma che rende possibile l’idea di una costruzione le cui articolazioni e strutture sono del tutto naturali.

Anche se Pettena appartiene per educazione, generazione e contiguità di esperienze al mondo della ricerca ‘radicale’, di questa costituisce l’aspetto concettualmente più rigoroso. Egli sembra non occuparsi quasi della realizzazione, ma preoccuparsi invece del processo ideativo e analitico e, quando dialoga con una preesistenza, elabora con questa un rapporto di continuità e innovazione. A differenza di Archizoom, Superstudio, Ufo, le sue architetture non subiscono l’influenza del linguaggio del tempo, soggetto a datazione, ma rimangono assolute proprio perché senza tempo sono i linguaggi ‘naturali’ adottati. Egli preferisce lavorare questi ‘dialoghi’ e queste architetture con materiali semplici: con la casa e la scuola di ghiaccio per esempio, lo strumento dell’operare è la temperatura che trasforma l’acqua in ghiaccio, con la casa di creta è il naturale processo di essiccamento a compiere l’opera e a rivelare di nuovo l’aspetto originario dell’edificio, con le ‘architetture d’erba’ è ancora la natura, in cui si sono operate leggere manomissioni, l’artefice del risultato finale.

Sono, quelli di Gianni Pettena pensieri e studi che si confrontano sempre con un contesto e si concretizzano in un’architettura che si realizza e si dispone, come nel recente Archipensieri realizzato a Cassino solo pochi mesi fa, a essere percepita e compresa anche nei riferimenti di continuità con le sue origini, dalla Grecia al Rinascimento al Manierismo. Le correzioni prospettiche poi, le anamorfosi, gli interventi sullo spazio che producono una percezione più equilibrata e armoniosa, così come avveniva nel passato anche attraverso il controllo dimensionale della sezione aurea, sono strumenti di comunicazione di un pensiero che, pur usando linguaggi contemporanei, costruisce quella continuità che della storia ricompone e rivitalizza insegnamenti, riferimenti concettuali e momenti di alta qualità propositiva.

 

Preliminari Per Un'Architettura Concettuale, in "Gianni Pettena", Silvana Editoriale, 2003.